Non si può dire che a Faiz difetti il dono della sintesi. In cinque cartelle condensa una vita che l’ha reso adulto molto presto. Per aiutare la famiglia ha lavorato nei campi dai sette anni, lasciando la scuola; più avanti, in seguito a un incidente del padre, tassista, ha rilevato la sua attività.
Ma i soldi comunque non bastano, e la decisione di partire per l’Italia è supportata dagli stessi genitori.
La traversata del canale di Sicilia è l’ennesimo ostacolo, l’ennesima selezione imposta a chi cerca una vita migliore. Può accadere, ad esempio, che si muoia per pochi metri d’acqua, fallendo il tentativo di salire sul barcone dopo averlo sospinto al largo, mentre là, sulla riva, incombe la polizia libica. Non sono in molti a saper nuotare. Lo abbiamo scoperto, con rabbia e incredulità, quando l’ennesimo peschereccio convertito in nave di trasporto migranti si è arenato a 15 metri dalla riva, a Catania, nell’agosto del 2013: morirono in 6, tutti sotto i 30 anni.
Mentre si affanna in acqua per salire sul barcone spinto dagli altri migranti verso il largo, Faiz pensa solo a sé; e sa che, se non riuscirà a saltarvi dentro, le sue speranze finiranno.
Piuttosto morire, che tornare indietro e finire in qualche prigione.
Il resto è, se possibile, ancora più sintetico. L’arrivo in Sicilia, il trasferimento in Calabria e la fuga dal centro in cui è alloggiato per raggiungere alcuni conoscenti a Firenze, dove tuttora vive. Lapidarie le conclusioni del suo scritto: «Un consiglio. Non lasciate il vostro paese se lasciate il vostro paese e la vostra famiglia starete male».