Diario iracheno #1 - dallo scambio Italia-Iraq di DiMMi

Accogliersi a vicenda per imparare a conoscersi – con questo spirito una delegazione di giovani italiani si trova ora in viaggio in Iraq, accompagnata da un gruppo di coetanei iracheni. È la prima azione dello scambio Italia – Iraq, a cura di Un Ponte Per… all’interno del progetto DIMMI di Storie Migranti. Lo scambio proseguirà nei prossimi mesi a parti invertite, con la delegazione irachena in visita in Italia. In questo diario iracheno vi raccontiamo l’esperienza attraverso le parole di chi la sta vivendo in prima persona. 

“Arriviamo al Monastero durante un evento particolare: padre Jens ha deciso di far coincidere l’inaugurazione di una nuova ala del convento con i festeggiamenti musulmani per l’iftar, la fine del digiuno giornaliero durante il mese di Ramadan. Ci sono importanti figure politiche e religiose che partecipano alla cerimonia di inaugurazione, e sui tetti vediamo alcuni militari, misura di sicurezza per un evento così delicato. Non siamo abituati a vedere imam e preti seduti gli uni accanto agli altri scambiarsi saluti cordiali. Anche la chiesa è particolare, il pavimento è coperto da colorati e soffici tappeti arabi, e per entrarvi siamo invitati a toglierci le scarpe come quando si entra in una moschea. In lontananza una foto di padre Paolo Dall’Oglio racconta in silenzio l’importanza del dialogo interreligioso.

L’arabo, l’inglese ed il curdo si danno il cambio nei vari discorsi di rito che lasciano poi spazio al grande banchetto. Anche in Kurdistan, come in Italia, l’ospitalità è considerata una virtù ed è quindi difficile non arrivare a fine serata appesantiti dalle abbondanti portate. Le esploriamo con curiosità e sorrisi sulle labbra. Iniziando dai datteri, cibo con cui tradizionalmente si conclude il digiuno giornaliero. I sapori decisi di questa cucina per molti di noi sono nuovi: spezie, noci tostate e uvetta si legano alla carne e al riso a cui si aggiunge una salsa di albicocche. Dopo aver gustato un dolce tradizionale a base di pistacchio e miele, stanchi/e del viaggio, ci avviamo verso le nostre camere.

Al mattino padre Jens ci invita a visitare la Grande Moschea (al-Masgid al-Kabir) di Sulaymaniyah per portare in dono alla comunità musulmana del cibo per l’iftar dei numerosi senzatetto della città. “Il dialogo è molto importante, soprattutto per quanto riguarda il sostegno alla comunità” ci spiega. C’è una grande attenzione ai bisognosi: durante il Ramadan, infatti, le cucine della moschea servono pasti per 200 famiglie.

Questo non è solo un luogo di culto, ma anche di incontro ed è ciò che percepiamo durante la visita che lo Sheykh ci invita a fare. L’accoglienza è calorosa e ci viene offerta dell’acqua nonostante la comunità musulmana sia a digiuno ed ancora una volta ci colpisce l’apertura alla diversità di questa città, frutto di una tradizione multiculturale che, senza troppi complimenti, abbatte i vari pregiudizi che dipingono questi luoghi.

Entrando nella sala principale per la preghiera, così come per entrare nella chiesa del monastero, ci togliamo le scarpe e sprofondiamo con i piedi sui soffici tappeti. Lo Sheykh ci guida attraverso tutte le stanze della moschea, nonostante il nostro leggero disagio nel camminare come turisti tra le persone raccolte in preghiera o che erano lì per riposarsi, usanza comune durante il Ramadan.

Camminando per le strade del suq, per tornare alle nostre stanze, non possiamo fare a meno di riflettere tra di noi sull’importanza del dialogo che si concretizza in questa città. Siamo abituati a sentirne parlare in termini teorici e complicati e, invece, la sua messa in atto è molto più semplice di quanto si possa pensare. Come dice suor Houda – madre superiora della comunità al-Khalil – non serve creare grandi eventi: il dialogo è un fenomeno spontaneo. Basta saper creare spazi aperti ed accoglienti da vivere insieme, dove, in modo naturale, vi sia la volontà e la possibilità di conoscersi”.

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