Diario iracheno #3 -

Accogliersi a vicenda per imparare a conoscersi – con questo spirito a maggio una delegazione di giovani italiani è stata in viaggio in Iraq, accompagnata da un gruppo di coetanei iracheni. È la prima azione dello scambio Italia – Iraq, promosso dal progetto DIMMI di Storie Migranti. Lo scambio proseguirà a giugno a parti invertite, con la delegazione irachena in visita in Italia. In questo diario iracheno vi raccontiamo l’esperienza attraverso le parole di chi la sta vivendo in prima persona.

“Il Kurdistan iracheno è un posto favoloso: voci alte, odori fortissimi, colori intensi, e soprattutto tanto cibo. Ma, al termine del viaggio, possiamo dire che ciò che ci ha arricchiti di più è stato sicuramente il dialogo con le persone che ci vivono o lavorano.

Dopo aver visto Sulaymaniyah e le sue ricchezze storiche, culturali e artistiche, negli ultimi giorni stiamo conoscendo più da vicino le attività e i progetti che Un Ponte Per… (UPP) porta avanti qui nel Kurdistan iracheno e anche nel resto dell’Iraq e nei paesi confinanti. In particolare, abbiamo visitato l’ufficio di Sulaymaniyah, dove abbiamo incontrato persone di molteplici nazionalità, impegnate in progetti tra loro molto diversi.

Le prime sono Shahnaz, ragazza curdo-siriana, e Teresa, giovane italiana che da alcuni anni lavora in UPP e che da pochi mesi si è trasferita in città per gestire il suo progetto. Il loro lavoro punta a formare gratuitamente ragazzi e ragazze della città e parte delle comunità sfollate e rifugiate, dando loro competenze spendibili in un mondo del lavoro molto competitivo. Partono dagli interessi e dalle necessità del territorio, dando modo ad ogni persona di esprimere preferenze su quali corsi vorrebbero si organizzassero: informatica, teatro, musica, pittura e job trainings sono quelli più richiesti. Shahnaz ci sottolinea quanto le differenze linguistiche siano spesso una barriera sociale e lavorativa molto forte, e perciò i corsi di lingua tendono ad essere i più frequentati. Oltre all’arabo e all’inglese, infatti in questa zona si parlano Sorani, la lingua curda di Sulaymaniyah e Kurmanji, usato prevalentemente in Siria del nord e nella zona irachena di Dohuk. Dopo il corso è prevista una seconda parte del programma, cioè una collaborazione con altre associazioni e aziende locali al fine di incrociare i bisogni di domanda e offerta nel mercato del lavoro e dare un’opportunità di inserimento ai partecipanti dei corsi.

Incontriamo anche Toon, un ragazzo belga che ci racconta delle diverse campagne in Iraq a cui UPP ha collaborato come membro dell’Iraqi Civil Society Solidarity Initiative (ICSSI), cercando di supportare il lavoro della società civile irachena. Campagne per i diritti dei lavoratori, delle minoranze, per la libertà di stampa, contro le spose bambine e gli abusi sessuali… Uno dei progetti più riusciti, da questo punto di vista, è la campagna Save the Tigris, di cui Toon è il coordinatore per UPP, nata per salvaguardare le Iraqi Marshes, un ecosistema paludoso nel sud dell’Iraq, irrigato dalle acque del Tigri. Turchia e Iran hanno costruito dighe che, cambiando il flusso delle acque, mettono a repentaglio gli equilibri dell’ecosistema, mettendo in pericolo anche la sopravvivenza degli arabi delle paludi, abitanti della zona che, ancora oggi, vivono grazie all’allevamento dei bufali d’acqua.

Ci stupisce vedere come il danneggiamento di un fiume che conosciamo fin da piccoli possa avere non solo immensi effetti sulla salute, ma anche e soprattutto sulle dinamiche sociali di tutte le popolazioni che vi dipendono. La forza della campagna Save the Tigris è infatti quella di agire come collante tra le diverse realtà culturali che questo fiume attraversa; persone e minoranze divise da trascorsi geopolitici anche violenti che scelgono di dialogare per un obiettivo comune: salvare il fiume Tigri e sensibilizzare la popolazione irachena al suo utilizzo sostenibile! L’acqua, che in così tanti casi è una risorsa per cui nascono conflitti, diventa invece mezzo e fine di dialogo e collaborazione.

Dopo aver conosciuto le numerose attività di UPP in Iraq saliamo su uno scomodo pulmino per andare nel luogo che forse più di tutti ci segnerà: il campo per rifugiati siriani di Arbat. A 40 minuti di macchina da Sulaymaniyah, in mezzo a terre aride e piane, si vedono in lontananza due villaggi. Uno lo superiamo sfrecciando sulla strada larga e polverosa, nell’altro ci entriamo scalando le marce. Il solito check point militare ci fa rallentare, ma entriamo nel campo senza dover fermare il pulmino. Davanti a noi si stende come fosse un tappeto rosso per chi entra nel campo una strada asfaltata che ribolle del calore sotto il sole. Per molti di noi è la prima volta in un campo profughi, abbiamo i nasi incollati ai finestrini impolverati per capire e scoprire le case di mattoni e cemento e le scritte e i graffiti sui muri, racconto per noi indecifrabile delle persone che ci vivono. C’è davvero poco movimento, d’altronde sono le 11, ci sono 35° e c’è il digiuno per il Ramadan. Non riusciamo a contenere un certo straniamento nel vedere negozi con manichini esposti, ristoranti con insegne colorate e una moschea con l’intonaco dato da poco che riflette al sole: nella nostra mente i campi profughi sono spazi che immaginiamo temporanei, mentre qui tutto sembra raccontare di persone abituate a viverci, a costruire giorno per giorno la propria quotidianità.

Senza dubbio la presenza di UPP nel campo e i progetti che l’Ong porta avanti sono fondamentali per favorire un percorso di convivenza pacifica che sappia coinvolgere attivamente le persone che ci vivono. Lo capiamo dall’entusiasmo con cui Shuaila e Kaniwar ci parlano del progetto di educazione non-formale per i ragazzini del campo, che vediamo in coda fuori dal centro di UPP, in attesa di giocare. Con una punta d’orgoglio i due operatori ci raccontano di come, all’inizio del progetto, tutti fossero molto indisciplinati e fosse impossibile portare avanti le attività non formali. Col tempo però sono riusciti a trovare le giuste modalità e a far capire ai bambini l’importanza delle attività che non solo hanno lo scopo di rafforzare le loro abilità e conoscenze, ma anche quello di creare spazi di dialogo tra giovani che non si conoscono. Ci sono un centinaio di bambini, eppure tutti seguono con gli occhi i quattro operatori, con un silenzio e un’attenzione inaspettati.

Il dialogo tra comunità è la chiave per la convivenza pacifica, ma anche in qualche modo simbiotica per chi vive in una realtà molto dura e ha bisogno di aiutarsi a vicenda. Un’iniziativa molto importante in questo senso è Radio Gardenya: radio del campo di Arbat nata grazie al sostegno di UPP. “Perché avete chiamato così la radio?”, chiediamo incuriositi. “Perché è un bellissimo fiore e perché il suo nome si pronuncia allo stesso modo in molte lingue: la nostra radio vuole unire, trovare vocaboli in cui tutti possano riconoscersi” ci spiega Khalil mostrandoci tutta l’attrezzatura che serve per trasmettere dal campo.

Radio Gardenya ha una grande importanza per le persone che abitano nel campo di Arbat. Oltre ad organizzare corsi di lingua, rubriche di vario genere a sostegno degli abitanti funge da cassa di risonanza ogni qual volta qualcuno cerca un aiuto o vuole mettere a disposizione le sue abilità.

Dopotutto, il campo accoglie oltre 10 mila persone, prevalentemente siriani del nord, ed è a tutti gli effetti una piccola città con i suoi abitanti ed i suoi servizi, i negozi e i posti di ritrovo. Una città che trasmette il senso di staticità che colpisce le persone che vi abitano.

Un Ponte Per… qui, oltre ad operare grazie al suo staff locale, deve la sua capillarità ai molti volontari che collaborano con l’organizzazione. Volontari proprio come i ragazzi dello scambio culturale che ospiteremo in Italia. Sami, Gzng, Shanya, Waleed e Sara sono entrati in contatto con UPP grazie alle diverse iniziative organizzate a Sulaymaniyah e da lì hanno cominciato il loro percorso come volontari. 

Waleed forse è il più “piccolo” del gruppo in termini di esperienza: ha cominciato nel 2018 ad avvicinarsi a Un Ponte Per… ed ora fa il volontario. Sara invece collabora in progetti con i rifugiati ed è impegnata in varie campagna di promozione della pace, mentre Gzng oltre a seguire vari corsi, tra cui quello di informatica, lavora come educatrice ed insegnante di arabo. Sami, che non conosce la timidezza e continua a scherzare anche quando si racconta, ci spiega che ha iniziato a collaborare con UPP nel 2015 svolgendo oggi diversi ruoli attorno ai progetti di peacebuilding avviati nei Centri giovanili che l’organizzazione ha aperto nel Kurdistan iracheno; col tempo ha avuto modo di coltivare la sua passione per il videomaking e la fotografia diventando responsabile di vari workshop e svolgendo il ruolo di responsabile dell’educazione.

Il nostro viaggio si conclude sotto il calore della Cittadella di Erbil, patrimonio dell’Unesco che in questi giorni di Ramadan è quasi deserto mentre a pochi passi, nel suq le persone si mescolano tra gli odori di spezie e cibo delle bancarelle. Questa notte torniamo in Italia portandoci dietro tutte le cose che abbiamo visto, conosciuto ed assaporato in questo viaggio. Saliamo sull’aereo assonnati ripensando a tutte le cose che erroneamente in Italia si pensano e si dicono riguardo al paese nel quale abbiamo vissuto in questi dieci giorni. Il progetto però non è ancora finito ed anzi, con l’aereo che atterra, prima dei saluti, ci scambiamo qualche idea per quando Sami, Shanya, Sara, Waleed e Gzng verranno in Italia: è stato rilasciato loro il visto e non ci rimane altro che aspettarli a braccia aperte, come loro hanno fatto con noi”.

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